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È UTILE IL CONCETTO DI MANAGER EUROPEO?


Introduzione

Oggi che abbiamo "de facto" un mercato europeo, sistemi di produzione europei , un sistema monetario europeo e, pare, ci stiamo avvicinando ad un sistema di Borse europee collegate. vale la pena chiedersi se esiste già una riserva di manager europei capace di gestirequesta complessa entità extraterritoriale con i suoi variegati problemi linguistici e culturali. Un cinico potrebbe argomentare che sin dal Medioevo vi sono stati eccellenti manager che operavano a livello di scambi finanziari e commerciali internazionali e che in anni più recenti vi e sempre stato un certo numero di manager esperti che operano ai più alti livelli delle aziende multinazionali. Ma oggi la novità consiste nel fatto che vi è un bisogno crescente di competenti manager internazionali "a tutti i livelli di qualsiasi grande organizzazione". 

Qualche anno fa, si pensava che esistesse qualcosa come una "mentalità degli affari globale". La diversità dei mercati internazionali era un inconveniente che poteva essere minimizzato o isolato e coloro che possedeva-no questa meravigliosa facoltà globale "ritenevano che i gusti e le preferenze nazionali fossero più simili che diversi, o che potessero essere resi tali" (1). Un altro assunto, predominante in mercati quali la Gran Bretagna in cui l'influenza americana era, per ovvie ragioni, più dilagante era che i manager di altri paesi che opponevano resistenza agli assunti del mondo degli affari americano erano considerati tradizionalisti, con nessun senso degli affari ed arretrati senza speranza. Anche se di recente vi è stata una fioritura di pubblicazioni sul tema della diversità culturale nel management, in un primo tempo queste hanno preso in considerazione le culture imprenditoriali degli Stati Uniti e del Giappone e i conflitti tra di esse, e solo negli anni Novanta sono stati ampliati gli scopi geografici. Le maggiori riviste accademiche pubblicano ancora nuovi articoli, come recenti edizioni della Harvard Business Review e di Human Resource Management testimoniano (2), sebbene spesso questi sono incentrati sulla questione degli “expatriates” americani e la visione del mondo che propongono è decisamente americocentrica. Nel contempo i problemi di diversità culturale in Euro-pa venivano largamente ignorati: infatti, si presupponeva che se gli aspetti tecnici e finanziari di un probabile accordo erano a posto, l'intuizione del bravo manager sarebbe stata sufficiente a capire il paese in cui si an-dava a lavorare e a gestire un'azienda straniera o una Joint-venture. Secondo questa scuola di pensiero, anche i processi su larga scala di europeizzazione non presentavano particolari difficoltà: si trattava semplicemente di una questione di finanze e tecnologia. Pertanto qualche anno fa era piuttosto frequente nel settore delle Tlc, sentire previsioni secondo le quali per la fine del millennio ci sarebbero stati solo tre o quattro gestori che avrebbero fornito servizi all'intero continente. Invece, secondo un rapporto Ue. alla fine di agosto 1998, vi erano nell'Unione europea 218 operatori che offrivano servizi nazionali di telefonia, 284 che offrivano servizi internazionali insieme ad altri 77 che offrivano servizi di telefonia mobile (3). Comprendendo altre forme nuove di competizione locale il totale è prossimo a mille. Molte di queste sono, infatti, aziende con una spiccata identità locale che necessitano di speciali abilità di marketing locale, come Retevisión e Scottish Telecom; altre sono operatori "cross-border" i cui mercati travalicano le frontiere degli stati nazionali, come Colt, Viatel e Esprit. Queste ultime rifiutano la chimerica "mentalità globale" e richiedono capacità di gestione veramente europee per operare nei propri mercati specializzati di nicchia. Ma quali sono esattamente queste capacità? Esiste davvero un manager europeo ed è comunque un concetto utile? 

Il manager europeo

Ora che la battaglia per un capitalismo europeo è cominciata sul serio e le nuove esigenze ad una serie di fusioni e di "takeovers in settori chiave, quali quello bancario e quello delle Tic, che stanno cambiando lo scenario, la questione se manager adeguati esistono non è né retorica né futile. Le attività funzionali che comporta la gestione delle risorse umane, - quali l'assumere, il licenziare. il retribuire, il formare, il motivare e l'organizzare - implicano chiaramente profondi elementi infrastrutturali che derivano dalla storia, dalla politica e dalla cultura di un paese. Data l'estrema diversità delle parti che costituiscono l'Europa, tali elementi infrastrutturali sono spesso drammaticamente diversi. È sufficiente ricordare la tradizionale differenza tra gli stili di corporate governane anglosassoni e continentali, tra, per esempio. l'atteggiamento tedesco e britannico nei con-fronti dei contratti di lavoro, del reclutamento e dei licenziamenti. Il primo sistema industriale è caratterizzato da maggiore flessibilità e da concetti quali la retribuzione legata alla performance, mentre il secondo è caratterizzato dal concetto di una partnership in delicato equilibrio tra la proprietà dell'azienda. il management, i sindacati e la forza lavoro. Di fatto. vi sono stili di gestione delle risorse umane abbastanza distinti in cui valori diversi sono attribuiti alla funzione del Personale secondo le culture aziendali di ciascun paese. Alcuni conflitti tra diversi sono emersi nell'ambito della fusione anglo-tedesca Dresdner Bank - Kleinwort Benson, con scontri che hanno portato alle dimissioni del presidente (4). 

Un'altra tra le molte fusioni fallite, quella tra Volvo e Renault, ha messo in evidenza una differenza analoga che si è rivelata cruciale: secondo l'allora amministratore delegato della Volvo in Francia, Goran Carstedt, lo spirito della cultura svedese che si traduceva in quella dell'azienda con l'insistere su un decentramento dell'autorità e dell'iniziativa nel posto di lavoro, era in contrasto con il modello fortemente centralizzato e gerarchico della gestione Ru in Renault (5). Fin dal 1991 le due aziende avevano creato dei blocchi di azioni azioni incrociate (Volvo deteneva il 20% della Renault: mentre Renault deteneva il 25% di Volvo Car ed il 45% di Volvo Truck), ma la cooperazione è stata impantanata da una miriade di commissioni congiunte ed in lotta tra loro al punto che il presidente della Renault ha affermato che "L'accordo tra due aziende non permette di procedere veloce-mente come in una singola azienda. La velocità è essenziale. dobbiamo superare i limiti imposti dalla cooperazione fino ad oggi" (6). Nel settembre 1993 furono pubblicati gli accordi azionari per la realizzazione di un nuovo gruppo e le due aziende restarono invischiate in una serie di aspre discussioni sul valore delle rispettive azioni, su come il gruppo avrebbe dovuto essere gestito, quale lingua usare in azienda e, infine, su una rivolta del management che portò a stracciare i piani di fusione a novembre. Questioni fondamentali su come gestire la nuova azienda nacquero tra gli ingegneri, mentre aumenta-va il dissenso tra i colletti bianchi e i senior manager sia in Renault che in Volvo: una discrepanza ancor più fondamentale emerse nell'affermazione della Confédération Générale de Travail (CGT) che i suoi iscritti "costruiscono le automobili mentre la Renault le vende semplicemente". L'unico modo di riuscire a colmare questo divario sarebbe stato quello di creare una cultura organizzativa completamente nuova. 

Le incompatibilità dei sistemi di corporate governance e di gestione delle risorse umane sono alla base di questa rottura. Secondo uno studio interessante sulle differenze tra vari stili di gestione delle risorse umane, la cultura del management in Francia è "tecnicisticamente elitaria" e la politica del personale è condizionata da un forte dominio della legislazione, in Gran Bretagna le relazioni in-terne sono fondate primariamente su una cultura di mercato e degli affari, e in Germania la gestione del personale è quasi intera-mente governata dal "Betriebsverfassungsgesei." e da una corporate culture di tipo professionale. fortemente tesa verso le capacità e la produzione. In tal modo nelle aziende britanniche la funzione del Personale ha uno "status" molto superiore rispetto agli altri due paesi, in quanto tutte le questioni legate al lavoro (comprese le condizioni di lavoro) sono sottoposte a discussione anche a livello individuale e possono aver luogo all'interno dell'azienda (7). Un manager abituato ad un regime così flessibile e personalizzato troverà difficoltà ad operare in modo efficace in una cultura di business basata sulla concertazione: la diminuzione del proprio "status" all'in-terno dell'azienda, o l'incompatibilità tra il prestigio dei manager del Personale di diver-se culture aziendali che lavorino insieme possono facilmente causare delle difficoltà. Chiaramente un manager molto flessibile e "super partes", un manager genuinamente europeo. è necessario per guidare le aziende e le persone attraverso questo tipo di conflitti se le fusioni che hanno un senso da un punto di vista finanziario e commerciale sono destinate a riuscire - se vogliamo creare aziende capaci di competere in termini di parità con i giganti competitori asiatici e americani. 

Quali sono, allora, le sfide essenziali che si pongono al nostro ipotetico manager europeo. che vanno risolte con nuovi approcci e sistemi manageriali? 

La sfida principale è fronteggiare la minaccia competitiva delle aziende gestite da un management di stile americano e nel contempo rimanere fedele ai valori ed ai comportamenti tipici di uno stile di vita europeo. Da almeno trenta anni il mondo degli affari europeo è stato influenzato nella prassi gestionale da modelli che venivano dagli USA. dal Giappone e dalla Corea, come il "shareholder value", la logistica "just-in-time" ed il "kaizen" (qualità totale). Piuttosto che copiare altri sistemi, è tassativo per le culture di business europee adoperarsi per sviluppare nuovi paradigmi specificamente adattati al contesto del business europeo. Lo sviluppo di un tale nuovo paradigma comporterebbe: 

  • gestire e sviluppare le risorse umane nel senso di auto-sviluppo incoraggiando una maggiore creatività; 
  • comprendere il mondo degli affari europeo nel senso più ampio possibile: - aumentare l'efficacia: produttività, qualità e flessibilità nell’ambito della struttura sociale dell'Europa;
  • sviluppare nuove forme di business attraverso networking internazionale, task forces e unità di coordinamento; 
  • l'abilità di conquistare il sostegno di governi e degli stakeholders con approcci politici completamente diversi; 
  • sviluppare nuove strategie sociali per un approccio europeo all'istruzione, all'occupazione e diritti dei lavoratori (8). 

Si tratta di risolvere questi problemi senza distruggere il tessuto dei valori culturali e sociali, il che comporta un alto livello di sofisticazione nel gestire la diversità con la superiorità nel trattare quelle che possono essere definite le priorità tradizionali o quotidiane dell'azienda. In questo caso non si intende per europei solo i maggiori paesi dell'Ue, ed è facile per noi sottovalutare la sensibilità di manager di paesi più piccoli ma importanti come la Norvegia o il Portogallo in termini di ciò che essi percepiscono come una sorta di blocco anglo-italo-franco-tedesco che domina il discorso economico e del business europeo. Di fatto, uno studio sul concetto di vera "Europeità" in termini di istituzioni quali le business schools, suggerisce che un corpo docente ideala dovrebbe essere composto da professori di circa dieci nazionalità e gli studenti dovrebbero essere nella stessa proporzione e nessuna nazionalità dovrebbe rappresentare più del 25-30% del totale (9). Quante istituzioni o aziende attualmente possiedono gli stessi requisiti? 

L'efficacia del manager europeo

Non è affatto sorprendente che la percezione dei valori importanti per il successo manageriale varia considerevolmente da paese a paese. I risultati di uno studio basato su un campione di manager e studenti svedesi, belgi, tedeschi e spagnoli ha messo in luce tutto questo molto chiaramente (10). L’obiettivo era di esplorare il ruolo delle culture nazionali nel comportamento e nell'efficacia manageriali. La percezione di quello che sono le abilità essenziali di un manager variano in modo notevole. 

La parte centrale di questo studio ha presi in considerazione dieci abilità di base: Prendere decisioni, Risolvere i conflitti, Pianificare e Valutare, Dirigere, Negoziare, Risolvere problemi, Organizzare, Prevedere, Diplomazia e Rapporti interpersonali. Non sorprende neanche in questo caso che, tre su quattro paesi hanno ritenuto il "prendere decisioni" l'abilità più importante, ad eccezioni del Belgio che lo ha classificato al secondi posto dopo "pianificazione e valutazione" Ma la differenza più forte per la seconda i terza scelta, è emersa forse inaspettatamente, sulla base di valori squisitamente culturali in Germania e Svezia. Nel primo paese per esempio, con il ruolo importante che rivestono i sindacati e il sistema di un consiglio supervisore nelle grandi aziende tede schedi cui abbiamo già parlato, il secondi posto è stato attribuito alla "risoluzione de conflitti" con un margine notevole sulla terza abilità, mentre gli svedesi interrogati hanno classificato le relazioni interpersonal ben oltre la priorità data a questa abilità, dagli altri tre paesi. Analogamente, quando è stato chiesto di valutare qualità personali auspicabili in un manager, gli svedesi hanno dato grande valore alla tolleranza alla socievolezza, suggerendo in tal modo ui approccio manageriale basato su quello ch potrebbe essere descritto come "evitare conflitti prima che accadano" - un approccio diametralmente opposto a quello dei manager tedeschi ed un'indicazione dei problemi multiculturali connessi nella gestione c un'alleanza tedesco-svedese (l'importanza attribuita dagli svedesi al valore della tolleranza e della socievolezza nell'ambito dell'organizzazione richiama alla mente il conflitto tra Volvo e la cultura gerarchica in Renault.

A conclusioni simili si è giunti dopo un altro studio empirico sulle differenze stilistiche e culturali nel management. Un analisi degli stili manageriali in quattro paesi (Gran Bretagna, USA. Giappone e Hong Kong) ha rive-lato che se da un lato le intenzioni fonda-mentali dei manager potrebbero essere uni-versali. dall'altro le espressioni di queste intenzioni fondamentali è probabile che siano specifiche rispetto al contesto culturale. Anche se questo studio non era limitato ai paesi europei, la distinzione di base che l'au-tore fa tra uno stile "task-oriented" ed uno "employee-oriented" corrisponde alle differenze già citate tra gli stili britannico e tedesco o anche tra quello anglosassone e quello continentale. In conclusione, l'autore sottolinea il ruolo che i tratti socioculturali giocano nell'influenzare il comportamento e le azioni sia dei manager che degli addetti nel luogo di lavoro. Infatti, la coscienza di tale ruolo "aiuta i manager a sviluppare ed implementare uno stile che minimizza le incomprensioni e gli equivoci che potrebbero altrimenti nascere con i propri dipendenti" (11). Se manager con queste abilità esistono veramente -è un interrogativo che resta aperto, come lo è qualsiasi tentativo di spiegare come tale "co-scienza" potrebbe essere raggiunta se non per tentativi ed errori. 

Una strategia per accelerare questo processo abbastanza casuale richiederebbe una maggiore mobilità di manager e professionisti all'interno del nostro continente in un percorso di carriera squisitamente europeo che aumenterebbe la possibilità di sviluppare le abilità necessarie nelle conoscenze cross-culturali e nella flessibilità mentale. L'accresciuta enfasi sulla comunicazione cross-culturale, scambi di esperienze e di apprendimenti faciliterebbero la creazione di una identità corpo-rate veramente europea: non solo una miscela di due o più culture o stili o l'imposizione di una terza lingua di lavoro, quale l'inglese americano degli affari (che stranamente si presume sempre oggettivo), ma qualcosa che vada oltre. L'obiettivo dovrebbe essere quello di creare una cultura corporate "europea". non una versione annacquata dello stile anglo-americano multinazionale dominante. Un esempio interessante della creazione di una nuova cultura può essere rilevato nella serie di acquisizioni fatte dalla holding fiorentina Società Metallurgica Italiana in Francia (con la Tréflmétaux) ed in Germania (con la. Kabelmetal AG). In un'intervista in cui spiegava come KM Europa Metal AG era stata creata tra il 1986 ed il 1990, riuscendo a fare in Germania quello in cui un'azienda come la Pirelli era fallita, un membro del Consiglio della SMI ha osservato che: "Se da una parte vi erano certe differenze di stile e management tra noi, il nostro impegno verso aziende gestite localmente ha fatto la differenza. Inoltre, eravamo tutti nello stesso business da anni ed eravamo impegnati in questo senso. Piuttosto che parlare tedesco. francese o italiano, tutti parlavamo 'trasformazione del rame' come prima lingua degli affari" (12). 

Questa mossa di successo era una strategia specificamente “europea”, che focalizzando su ciò che le aziende avevano in comune, la cultura del rame, ha consentito ad SMI di creare un'azienda leader europea nel settore dei prodotti semilavorati in rame e in lega di rame. È un esempio di come, in futuro, costruire sulla superiorità secolare di paesi con variegati trascorsi storici negli scambi e nei commerci e abilità tutte particolari potrebbero rappresentare un vantaggio competitivo Lutto europeo sui mercati mondiali. La Ue ha tanto da offrire come forza collettiva pari a quella degli Stati Uniti, ma, per poter valorizzare questa forza, è necessario uno sforzo di management concertato e strategie innovati-re per costruire sui successi del passato di alcuni dei suoi paesi membri. 

I nuovi fattori che richiedono a nascita di un euro-manager

Questa è stata la situazione per diversi anni, infusi di un certo scetticismo e della apparente mancanza di un vivaio di manager capaci di inventare il nuovo ruolo. Forse i empi non erano maturi, o le esigenze non sufficientemente sviluppate? La mancanza i fusioni riuscite su larga scala ed il controllo politico della maggior parte dei mercati europei hanno significato che era possibile andare avanti a casaccio come nel passato. Ma due cambiamenti recenti sulla scena europea del business sembrerebbero essere araldi di veri cambiamenti. Uno di questi, l’introduzione dell'Euro era atteso da tempo ta mal preparato (ricordo che mi è stato chiesto da un economista in Inghilterra nella primavera dello scorso anno se credevo davvero che l'euro si realizzasse visto che il potere di Helmut Kohl in Germania cominciava a vacillare); l'altro grande cambiamento, l’esplosione di Internet e del commercio elettronico, è stato ignorato nella sua importanza dalla maggior parte delle aziende europee fino alla fine del 1998. 

L’Euro

Il lancio dell'euro presenta un'importante sfida organizzativa e concettuale. Nel passato il mosaico delle valute nazionali ha inibito dal pensare in scala europea, rinforzando le differenze culturali e creando incertezza nei cambi. Ora, come è stato osservato di recente, "abbattendo le barriere del commerci, tra europeo - rendendo in effetti l'Europa omogenea - l'euro fa sì che una prospettiva pan-europea sia cruciale per le operazioni efficaci ed efficienti" (13). In tal modo l'impatto dell'euro richiederà parallelamente la formazione di una nuova razza di euro-manager. Così come l'abolizione delle variazioni nazionali nelle preferenze dei consumatori, nelle strutture di costo, nelle forze competitive e nei sistemi fiscali sono causate dall'euro, così pure al nuovo manager europeo sarà richiesto di razionalizzare e spiegare le strategie verse su una nuova base o sviluppare una singola strategia per tutto l'Europa. 

Ciò comporta chiaramente una migliore riconoscenza del mercato europeo "nella sua interezza" di quanto sta stato necessario fino ad oggi e lo sviluppo di prodotti e di strategia di brand europei. Soprattutto richiede la risoluzione delle tensioni tra un mercato europeo e le strutture locali tradizionali - non solo nelle aziende multinazionali che lo fanno da decenni. ma anche nelle piccole e medie imprese. Un membro del Consiglio di Amministrazione della Daimler-Chrysler ha affermato che eliminare i rischi valutari nel business europeo spingerà le aziende a dedicare molte più energie alla formulazione delle strategie e, in tal modo, ciò porterà ad una nuova ondata di creatività e di innovazione in tutta Europa (14). Ma se da una parte egli pensava presumibilmente alla sua azienda. è ovvio che i media e le comunicazioni stanno creando nuove possibilità anche per aziende più piccole nel generare un mercato più ampio meno suscettibile alle varianti culturali locali. Esse devono. tuttavia, essere in grado di organizzare e gestire il cambiamento di tale mercato, che comporta una nuova comprensione delle pratiche dl business: pratiche e processi "cross-border - nella contabilità e nell'amministrazione, per esempio - sono ancora rari malgrado stano tra-scorsi quasi dieci anni dall'istituzione dl un mercato unico. Il bisogno di perseguire questo livello di integrazione e dl mantenere nel contempo le caratteristiche peculiari degli stili di management nazionali accresce, a sua volta, l'importanza di creare una nuova razza di manager. 

Il commercio elettronico

La natura extraterritoriale del commercio elettronico fa sì che esso sia un oggetto alieno per molti manager con cui essi dovranno tuttavia confrontarsi prima o poi. Come ha dl recente osservato Ray Hammond. autore di "Digital Business" (1996). 'la virtualizzazione dei processi di business costringe a ridisegnare completamente in che modo si fanno le cose. Alcuni margini crollano, mentre ne appaiono di nuovi e le barriere, che hanno protetto aziende consolidate per decenni, possono svanire improvvisamente. Allo stesso modo i giovani imprenditori possono raggiungere aree. cali dispersi in nicchie sia a livello nazionale che globale. che prima non erano economici" (15). Questa non è una questione semplice: un imprenditore o un manager che si avvicini ad Internet con l'idea di business legata ad una prospettiva veramente europea, dovrebbe trovarvi molte più opportunità di raggiungere nuovi mercati, in quanto nessun altro veicolo esiste con una tale capacità di superare le barriere artificiali al commercio che hanno dominato l'Europa per cosi tanti secoli. 

CI viene continuamente detto oggi che l'informazione sarà la chiave del successo di domani: aumenta l'Importanza dei mezzi elettronici che ci permettono dl raccogliere e sfruttare dati sul clienti con il diffondersi dell'ICT in quel paesi europei in cui è ancora in una fase nascente (16). In tal modo diventerà sempre più importante far leva sui gruppi virtuali specializzati creati dai fenomeni legati ad Internet quali i Bulletin Boards, Chat Groups. Forums ed i gruppi come le "buddy lists" dl ICQ. Muovendosi in questa direzione. il concetto di Chuck Martin delle "experience communities" (17) chiaramente travalica le frontiere nazionali, ma è importante che tali comunità leghino i nostri ricchi e variegati valori ed evitino la colonizzazione dei valori americani nella semplice traduzione del contenuto dei portali americani e delle pagine Web nelle lingue europee. Il manager europeo che abbiamo immaginato dovrebbe poterci aiutare ad evitare un "nuovo Ellenismo”della cultura americana che Buzan e Segal vedono nel dominio culturale americano del mondo degli affari (18). Infatti è probabile che vi sia una maggiore comunanza dl interessi tra, diciamo, professionisti di un certo campo all'interno dell'Europa che tra quelli di un paese europeo e gli Stati Uniti: ed è ciò che si intende per "experience community". Così un Internet paneuropeo potrebbe fornire dati o informazioni di standard europeo, e di fatto servizi che potrebbero servire come base di una reciproca comprensione e crescita. 

Conclusione

Intraprendere un'organizzazione più integrata sostenuta dall'euro. mentre, nel contempo, rispettare le identità nazionali richiede un nuovo stile di management fondato sull'apertura mentale, sulla tolleranza e la partecipazione. Tuttavia, lo sviluppo di queste capacità nel bel mezzo delle turbolenze che sconvolgono le strategie ed i mercati, grazie alla trasformazione attualmente in atto, richiede capacità quasi miracolose di giudizio. di previsione e di equilibrio. Inoltre, l'ovvia diversità culturale sottostante del continente europeo comporta che i modelli di business americani partoriti dall'esplosione di Internet e delle sue ramificazioni in Intranet, Extranet ed il commercio elettronico non saranno completamente applicabili nel contesto europeo. Rendere queste due culture compatibili e possibilmente sviluppare la terza via di cui parlano alcuni politici europei, richiederà a sua volta lo sviluppo di manager veramente europei. In tal modo si può affermare che il concetto di "manager europeo" è veramente utile in quanto, sebbene sia possibile argomentare che una tale figura ancora non esiste, è certamente un obiettivo che vale la pena di perseguire se desideriamo preservare e sviluppare ciò che rende l'Europa un attore unico sulla scena mondiale. 


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

[1] C. A. Bartlett, S. Ghoshal, Managing Across Borders: The Transnational Solution, Boston, Harvard Business School, 1989, p. 99. 

[2] J. Stewart Black, H. B. Gregersen, The Right Way to Manage Expats, Harvard Business Review, March-April 1999, p. 52-63; G. Porter, J. W. Tansky, ‘Expatriate Success May Depend on a "Learning Orientation": Considerations for Selection and Training’, Human Resource Management, Spring 1999, vol. 38, pp. 47-60. 

[3] The Financial Times, 26 November, 1998. 

[4] Si veda The Economist, 8 marzo 1997. 

[5] Si veda il caso studio su questa fusione in A. Brown, Organisational Culture, London, Pitman, 1995. 

[6] Brown, op. cit., p. 215. 

[7] J. Nijs, Patterns of Industrial Relations and Personnel Management ín Three European Countries, in Transnational Busi-ness in Europe: Economic and Social Perspectives, Tilburg, 1992, pp. 248-55. 

[8] J.J. van Dijck, ‘Transnational management in an evolving European context’, European Management Review, 8 (4), 1990, pp. 474-9. 

[9] S. Tijmstra, K. Casler, ‘Management Learning for Europe’, European Management Journal

10 (1), 1992, pp. 30-8.  

[10] D. Boldy, S. Jain, K. Northey, ‘What Makes an Effective European Manager?’, Management International Review 33, 1993/3, pp. /57-69. 

[11] M. Tayeb, ‘Supervisory Styles and Cultura! Contexts: a Comparative Study’, International Business Review, 1995, vol. 4, n. 1, pp. 75-89. 

[12] In J. K. Sebenius, ‘Negotiating Cross-Border Acquisitions’, Sloan Management Review, vol. 39, n. 2, Winter 1998, pp. 27-41. 

[13] L.M. de Kool, ‘Toward a New Corporate Culture’, Harvard Business Review, January-February 1999, p. 55. 

[14] M. Gentz, ‘The Coming Competitive Shakeout’, Harvard Business Review, January-February 1999, pp. 52-4. 

[15] R. Hammond, ‘E-Commerce is Here — How Do We Become Winners in Britain?’ Paper written for the Regent Conference, The London Hilton, 29-1-1999. 

[16] Si veda J. Hagle III, M. Singer, Net Worth: Shaping Markets When Customers Make the Rules, Boston, Mass, Harvard Business School, 1999. 

[17] C. Martin, Net Future: the 7 cybertrends that will drive your business, create new wealth, and define your future, McGraw-Hill, New York, 1999. 

[18] B. Buzan, G. Segai, Anticipating the Future, Simon & Schuster, London, 1998. 


‘È utile il concetto di manager europeo?’, Società dell’Informazione, anno VII, n.2, 1999, pp.16-23.